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  • Immagine del redattoreAnna Stellari

La terza categoria


Se vai al parco nel pomeriggio trovi tre categorie di bambini. Quelli troppo grandi per giocare, quelli che vogliono sentirsi troppo grandi per giocare e infine i piccoli, quelli che non hanno bisogno di essere diversi da ciò che sono . Biglie impazzite che corrono, rotolano e inventano nuovi sistemi per arrecare danno a se stessi e agli altri.





È di quest’ultimi che ti voglio parlare. 


Li guardi e, se sei davvero un ottimo osservatore, la cosa che è lampante sono la facilità con cui si perdono le prediche che gli rivolgono i genitori. Loro danno delle regole, scendono a compromessi, provano ad essere gentili e accoglienti e i bambini restano comunque in balia del caos. 


Non funziona nemmeno dirgli ‘quando ti farai male, imparerai’ perché loro si fanno male e continuano a farsene. 


Forse non hanno ancora imparato, ma forse non abbiamo ancora imparato nemmeno noi.


Li guardavo qualche giorno fa e continuavo a guardarli come si fa con le cose che non riesci a comprendere fino in fondo. 


Mi chiedevo: esattamente quando è stato il momento in cui abbiamo perso tutto questo? 


La perseveranza di chi riesce ad andare avanti nonostante sia caduto duecento volte di fila. 


La leggerezza di fare per il gusto di divertirsi. 


La forza di gridare per quello che in cui si crede e si vuole a tutti i costi. 


La capacità di ribellarsi a tutte le regole imposte dall’alto perché non si ritengono giuste per se.


L’incapacità di omologarsi a qualsiasi modello pre-confezionato che viene proposto. 


La fermezza di non scendere a nessun tipo di compromesso per quello che ci fa brillare gli occhi. 


Il coraggio di affrontare ‘un gioco costruito per i bambini più grandi’ e di vederlo per quello che è : una sfida non una battaglia persa. 


Signori, questi piccoli uomini e donne che non arrivano al metro, riescono ad urlare facendosi esplodere tutte le vene che hanno in corpo, senza prendere fiato, senza un minimo di tentennamento e senza cedere a nessuna minaccia rivoltagli. 

Quando è stata l’ultima volta in cui possiamo affermare di aver difeso una nostra idea con un quarto di quella caparbietà? 


I genitori non si arrendono perché sono deboli, lo fanno perché sono sfiniti. Sfiniti da una forza che sembra appartenere solo a quella categoria e che invece appartiene anche a noi, ma non ne abbiamo più ricordo. 


Siamo degli adattati disfunzionali. Riusciamo a vivere ma qualcosa di fondo non va. Abbiamo inglobato le buone norme e la capacità di stare con gli altri ma lo abbiamo fatto a discapito del nostro istinto, nella sua versione più pura che esista. 


Ho l’immagine di quei bambini in testa e la porto con me per ripetermi che una volta, anche se non riesco a ricordarlo, ero una di loro. 

E ti dirò di più, non abbiamo bisogno di ricordare come si faceva, dobbiamo solo credere che possiamo ancora farlo

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